di G. M.
Non mi iscrivo all’elenco degli opinionisti catastrofisti che, con ampi sermoni – anche di buon livello culturale – descrivono l’attuale situazione economica e sociale dell’isola d’Ischia come una vigilia imminente dell’Apocalisse.
Tutto va male. Il degrado è infinito e inarrestabile.
I Comuni sono allo sfascio. La viabilità è allo zero. Arriva l’inverno: tutto chiude e non abbiamo più una vita civile. Il commercio è distrutto. Siamo alla fame. I giovani devono emigrare. Qui non c’è presente né futuro.
Insomma, saremmo alla fine dell’isola felice di cinquant’anni fa.
Chi scrive in questo modo è, di solito, una persona anziana con un lungo passato alle spalle, che vorrebbe vedere e vivere un mondo migliore, in linea con i sogni e le aspettative della propria giovinezza. Capisco, ma non approvo.
Io penso che, giovani o vecchi, dobbiamo affrontare i tempi. Cercare soluzioni migliorative. Il mondo non finisce: può migliorare o peggiorare rispetto a ieri, ma comunque va avanti.
Credo sia necessario avere una concezione laica della Storia, non influenzata dal fanatismo religioso o da ottusi ideologismi.
Affrontiamo i tempi.
Prendo lezioni da Stuart Mill e da Giuseppe Palomba. Osservo il moto della Storia, e cerco di capire da dove vengo e dove voglio andare.
Sono tempi difficili, certo. Ma il piacere di vivere, e la volontà di trovare vie d’uscita dalle crisi periodiche dello sviluppo – come insegnano Keynes e Schumpeter, forse più di Marx ed Engels – mantengono giovane lo spirito, anche quando le forze fisiche iniziano a mancare.
Come eravamo 55 anni fa
Ricordo com’eravamo 55 anni fa. Anzi, anche prima. Avevo 18 anni, era l’ultimo anno di Ragioneria. Con me c’erano Antonio Pinto, Jo Scaglione e Raffaele Iacono. Ogni mattina attendevamo, sotto il portone dell’Istituto “Mattei”, l’arrivo della Fiat 500 di Raffaele, che da Ischia portava Jo e Antonio. Sempre in ritardo.
Ed io, che aspettavo, decidevo se fare "filone" o entrare in classe.
A 18 anni cominciammo a scoprire l’isola d’Ischia, e anche Procida. Con la 500 di Raffaele siamo andati ovunque, spesso falsificando la firma dei genitori sul libretto delle assenze. Il preside Scoti – miope – non se n’è mai accorto.
Alla fine degli anni ’60, Ischia viveva un pieno sviluppo turistico. Il mondo studentesco era molto attivo: due organizzazioni giovanili, circoli, attività culturali e ricreative, tutte ideate e promosse dai ragazzi. Non vivevamo in letargo durante l’inverno, ma era evidente la differenza tra la vivibilità estiva e quella invernale. Io, a Casamicciola, la sentivo ancora di più.
Ricordo il ristorante "Ciritiello", in Piazza Marina: d’estate esponeva il cartello “Stasera pizza”. Il primo settembre il cartello spariva, e per tutto l’inverno non era più possibile mangiare una pizza. Quella tabella faceva la differenza tra estate e inverno.
La prima pizza d’inverno l’ho mangiata solo nel 1972, a Piazza Croce, a Ischia Porto. Credo che Umberto, con il suo ristorante, sia stato il primo a offrire la pizza anche nei mesi invernali.
Per me, questo è uno spaccato fondamentale.
Oggi possiamo mangiare la pizza a mezzogiorno o la sera in decine di pizzerie. Con i miei nipotini, abbiamo un appuntamento quasi mensile: pizza dai nonni a pranzo. È una delle piccole cose che per me rappresentano un miglioramento concreto dei servizi civili.
Oggi possiamo scegliere tra decine di supermercati, approfittare delle “offerte speciali”, vivere un’isola che, pur con tutte le sue contraddizioni, offre molto di più rispetto a 55 anni fa.
I servizi al cittadino – pubblici e privati – sono migliorati moltissimo.
Certo, la crescita economica e sociale ha portato anche eccessi. Ma il punto non è distruggere ciò che è stato costruito o tornare due secoli indietro. Il punto è governare la crescita.
Mi iscrivo quindi tra i pessimisti della ragione e gli ottimisti della volontà.
Partecipiamo seriamente alla vita civile. Costruiamo un futuro.
Ischia – e il mondo – non finiscono.